Vivere meglio la stagione delle valutazioni negli studi professionali
La stagione è entrata nel vivo
La stagione delle valutazioni della performance negli studi professionali, aperta da mesi, si è fatta ormai frizzante.
Come l’aria di Milano in questi giorni.
E, sebbene il 2024 si annunci diverso in tutto (abbiamo i programmi di talent management, di mentorship, gli slogan con ‘le persone al centro‘ e numerose attestazioni sulla qualità dell’ambiente di lavoro)… L’atmosfera negli studi professionali è piuttosto tesa e questo purtroppo ‘rings a bell’ – suona piuttosto familiare – per molti.
Le stagioni passate
La speranza che questa sia la volta buona per essere riconosciuti quanto e come ci si aspetta si rigenera sempre, anno dopo anno. Anche in chi non ha il fattore ‘numeri’ dalla sua, perché opera in un’area di practice per così dire ‘satellitare‘ rispetto al core business di studio. E così, già dopo Natale, molti professionisti cominciano ad essere assorbiti dalle loro strategie silenziose (di queste cose non si parla!), che portano con sé domande sempre più incalzanti…
Riusciremo a ritoccare le regole di ripartizione degli utili? … Cosa diranno quest’anno? … Mi avvieranno alla partnership? … Mi assegneranno un’altra risorsa? … Quanto sarà il bonus, considerato che…? … etc.
E, inevitabilmente, tutto quel che accade viene vissuto e agito da tutti in funzione del sentirsi ‘sotto giudizio’ e, al contempo, impossibilitati nell’influenzare davvero, quel giudizio.
Si tira avanti (perché nemmeno i tempi in cui saranno chiari degli esiti sono chiari), ma in molti, esausti, finiscono per convincersi ad aspettarsi il peggio. Con effetti diretti sull’umore, la motivazione e il benessere nelle mansioni e nelle relazioni. Certo, si continua a sperare di esser smentiti. Ma lo stress è davvero alto da reggere.
Del resto, l’essere umano preferisce notoriamente adattarsi a una certezza negativa che all’incertezza. E, ovviamente, l’essere umano ricorda le emozioni provate in passato in circostanze simili; non solo in prima persona, anche attraverso le esperienze altrui.
The same old story
Il problema è che, anche nelle realtà con le migliori intenzioni, il processo non è mai del tutto trasparente.
Neanche – a onor del vero – per gli stessi decisori. Ognuno cerca di portar avanti i suoi, e più che altro negozia, disposto inevitabilmente a scontentare più che accontentare.
Perché la professione è sofferenza e dedizione incondizionata. Un codice non scritto impone che il “Ripassa dal VIA” sia da accettare come parte del gioco. Anzi, di per sé non ha nemmeno necessariamente un valore negativo: spesso, di fatto, i decisori si aspettano dal professionista che continui a fare esattamente quel che ha sempre fatto, fino alla valutazione successiva – in cui magari verrà il suo turno.
Il valore della consapevolezza
Le peculiarità della valutazione della performance negli studi professionali
In sostanza, per quel che riguarda la valutazione della propria performance, la realtà è che
- quasi nessuno sente di avere (né di poter avere) una chiara idea di quali saranno i criteri reali in base ai quali saranno prese le decisioni che lo riguardano
- spesso non si riceve un feedback adeguato né una preparazione prima della valutazione (l’argomento è tabù persino all’interno dei team)
- l’eventuale esito insoddisfacente andrà gestito in solitudine, perché, nel caso, di certo mancherà una spiegazione precisa di quel è andato storto. Ci saranno frasi di circostanza del tipo: “Quest’anno abbiamo privilegiato [gli investimenti nel benessere, il fatturato come criterio guida, …], non avertene a male, ti capisco. Anche [Tizio] non ha“…
Ovviamente questo stato di cose affatica e distrae molto: è come stare per mesi su un roller coaster. Questo accade soprattutto alle figure più senior, che hanno accumulato esperienze di anno in anno e che hanno, al contempo, accesso diretto a informazioni sul reale andamento delle cose in studio.
L’effetto
Anche quando si supera la valutazione con soddisfazione, il costo pagato per arrivarci è talmente alto che il solo pensare a cosa comporterà rivivere l’assessment l’anno successivo (nel nuovo ruolo, con il nuovo compenso, con i nuovi target, con le aspettative nostre e quelle dei nostri, etc. …), fa spavento.
Cosa è nel nostro controllo rispetto a come sarà valutata la nostra performance?
Se questa è la situazione, quel che possiamo fare è intervenire su ciò che è nel nostro controllo. E qualcosa che si può fare, effettivamente, c’è.
Nell’ambito del processo di valutazione, quel che è nel nostro controllo è
- la nostra performance
- le nostre aspettative
- chiarire le nostre aspettative
- negoziare, anche sulla base dell’esperienza degli anni precedenti.
Le chiavi
La prima chiave: non abbassare le aspettative, ampliare gli obiettivi
Se diamo il massimo e ci aspettiamo il massimo, potremmo scoprirci impreparati a una delusione. E potremmo anche cadere da molto in alto.
Siamo invece (più) preparati a una delusione quando puntiamo al risultato ideale, ma teniamo al contempo ben presente quello che per noi rappresenta l’abbastanza buono, la soglia accettabile di fattori per cui riconoscerci soddisfatti (dell’anno, della crescita e delle prospettive di crescita).
Nello specifico, sarà un mix di ruolo, compenso, coinvolgimento, riconoscimento, possibilità, opportunità, tempo libero, sicurezza, visibilità… Che sta solo a noi ponderare e porre nella prospettiva più funzionale
- alla nostra idea di successo
- al momento della vita personale e professionale che stiamo vivendo (e non ha nemmeno senso parlare per decadi, perché i 30 son diversi dai 34, dai 37 e dai 39, per dire…)
- alle nostre priorità
- alle possibilità oggettive di crescita (economica e di ruolo) del dipartimento, nel team…
- …
Per affrontare un processo di valutazione all’interno di un’organizzazione è indispensabile mantenere una visione e un atteggiamento professionale. Vista in questi termini, diventa più facile per il professionista smettere di far dipendere la sua soddisfazione dall’ottenere il massimo di tutto. Io influenzo quel che è nel mio controllo, poi vedo quel che accade e poi ovviamente valuto anche io.
Diversamente, sentirsi solo in balìa aumenta, non diminuisce il senso di incertezza. Perché se anche quest’anno è andata bene, chissà… Si finisce altrimenti con il sentirsi spesso non degnamente riconosciuti e probabilmente anche ingannati da qualcuno. Questo perché si perde di vista che questo tipo di assessment
- ha regole non chiare, su cui nulla possiamo
- coinvolge anche altri, tra cui dei nostri pari.
E infatti non è un caso che, spesso, nel comunicare un esito lontano dalle aspettative manifestate, sia fatto riferimento ad altri parimenti non soddisfatti. Dimostra come sia acclarato che, nel complesso meccanismo delle valutazioni della performance negli studi professionali, interviene anche la shadenfreude, che fa sì che se non premiano me ma nemmeno ‘loro’, sarò più incline a dimenticare tutte le ragioni per cui meritavo (eccome!) quel che chiedevo, a restare nei ranghi e a farmela passare prima.
La seconda chiave: se perdo, imparo
Cosa fare della sensazione che inevitabilmente travolge quando la valutazione non va come avremmo voluto.
La delusione si somma alla convinzione di non aver fatto abbastanza. E, inevitabilmente, dopo aver verificato – ancora una volta – che il processo non è chiaro, all’ulteriore convinzione di non aver imparato nulla per evitare l’errore la volta prossima.
Si tratta di convinzioni limitanti, che trovano tanto più spazio quanto più la delusione brucia. Datti tempo.
E rifletti su quanto era davvero nel tuo controllo e quanto potrà esserlo durante tutto l’anno.
Ovvero su quanto vuoi investire ancora in una organizzazione che ti ha detto chiaramente quanto investe in te.
Per migliorare, le cose devono cambiare
Quale manager sensato farebbe stare i suoi top performer sul roller coaster per mesi?
#staytuned
Let me know!
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La parte più bella del viaggio è la compagnia!